Contro la narrazione playbourista. Il caso dei rider: è un lavoro non un hobby
Le imprese protagoniste nella rivoluzione digitale possono fornire servizi a basso costo sfruttando le potenzialità offerte dalle tecnologie informatiche. Infatti, uniscono il potere del digitale e il lavoro freelance, riuscendo così a scomporre compiti complessi nelle loro singole componenti e a subappaltarle a specialisti in diverse parti del mondo. In questo contesto i lavoratori dell’economia on demand, i worker on tap, sono impiegati per il tempo necessario a fornire il servizio, quindi al di fuori di un qualsiasi rapporto di lavoro stabile.
L'economia dei lavoretti
La flessibilità è il tratto distintivo dell’economia on demand. A tal punto che, specifica Alessandro Somma in Lavoro alla spina, welfare à la carte. Lavoro e Stato sociale ai tempi della gig economy, essa è detta anche economia dei lavoretti (gig economy), in cui gli operatori utilizzano le piattaforme che favoriscono l’incontro di domanda e offerta di servizi (marketplace). In tale contesto, gli operatori sono impegnati a mostrare come si tratti di un modello di organizzazione del lavoro estremamente flessibile e proprio per questo da promuovere e valorizzare per un futuro radioso bisognoso di essere riconosciuto e un passato oramai anacronistico. Evidenziano vantaggi per entrambe le parti della relazione: non solo per i datori di lavoro, ma soprattutto per i lavoratori interessati a evitare le costrizioni e i vincoli di fedeltà dei tradizionali rapporti di lavoro.
Le piattaforme del food delivery
Oggi, parleremo di un settore nel quale la gig economy si è particolarmente sviluppata: la fornitura di cibo a domicilio.
Nelle piattaforma di food delivery, il reclutamento dei rider viene promosso secondo determinati schemi, ovvero evidenziando che potranno lavorare scegliendo liberamente se, quando e quanto lavorare e che questo porterà a una migliore qualità di vita. Inoltre, dal momento che l’enfasi sulla ritenuta libertà del rider è funzionale a rappresentare la relazione di lavoro come estranea allo schema della subordinazione, il rider si configura come un lavoratore autonomo. Ciò significa che la piattaforma non è il suo datore di lavoro, ma lo spazio virtuale nel quale si realizza l’incontro tra domanda e offerta di servizi di consegna di pasti a domicilio.
L’avvocato Marco Marrone, nel saggio Gig economy e sindacalismo informale, ritiene che non si tratti di un dettaglio, perché la subordinazione costituisce il fondamento per l’attivazione delle tutele previste per il lavoratore in ordine alla costituzione del rapporto, alla sua durata, alla sua cessazione e al suo contenuto. La subordinazione è inoltre il presupposto per il riconoscimento dei diritti del lavoratore, per beneficiare quindi della disciplina delle libertà sindacali, del contratto collettivo e dello sciopero. Altre insidie, continua Marrone, derivano dal tentativo di mascherare il rapporto di lavoro subordinato, di farlo apparire come rapporto di lavoro autonomo, come accade nell’ambito dell’economia on demand.
Il taylorismo digitale
Il riconoscimento della subordinazione può far leva su una caratteristica che si può estendere in generale all’ambito dell’economia on demand, attraverso il ricorso a modalità di controllo e direzione del lavoratore particolarmente penetranti. Infatti, le piattaforme utilizzano algoritmi per gestire ogni singolo aspetto del servizio offerto, inclusi evidentemente i rapporti con i fattorini. Ciò è innanzi tutto funzionale ad alimentare una sorta di «taylorismo digitale», ovvero a adattare all’economia on demand il meccanismo per cui, al fine di consentire un abbattimento del costo del lavoro, le mansioni creative devono essere separate da quelle esecutive e trasformate in più ristrette attività semplici e ripetitive.
Il taylorismo digitale non si limita a chiedere al lavoratore la fedeltà ma richiede
una muta esecuzione degli ordini che arrivano sotto forma di una serie di bit elaborati da un dispositivo digitale che il lavoratore deve avere sempre a portata di mano. [Somma]
Inoltre, è utile ricordare, attraverso l’analisi di Marrone, il flash mob del 24 novembre 2017 e lo sciopero del 23 febbraio 2018, in cui i rider hanno indossato maschere che raffiguravano i campioni del ciclismo nel tentativo di rovesciare la narrazione «playbouristica» delle piattaforme, secondo cui non si tratta di lavoro ma di hobby. O ancora, per parlare di iniziative più recenti si può accennare a quella del 2021 Rider X i Diritti. Lo sciopero si è tenuto in 30 diverse città italiane con lo slogan «Nessuno ordina, nessuno consegna».
In questo contesto emergono forme di sindacalismo informale, come il caso di Riders Union Bologna (Rub), che rappresenta una modalità di fare sindacato che, per poter recuperare l’agibilità del conflitto in un contesto così destrutturato, necessita di nuovi mezzi e strategie innovative. Il sindacalismo informale diventa così non solo un modo per rovesciare i dispositivi di assoggettamento dei rider, ma una possibile strada da percorrere per quei lavoratori a cui non è riconosciuto il rapporto di subordinazione.
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