La pulsione base del capitalismo delle piattaforme: pagare il nudo lavoro qui e ora
Nell’era digitale, non è più necessario riunire tutti i lavoratori in un’azienda ogni giorno per assicurare un’efficiente produttività. Una definizione dei processi economici e sociali basati sulla digitalizzazione in atto, proposta dal sociologo Francesco Garibalndo nel saggio Lavoro alla spina, welfare à la carte. Lavoro e Stato sociale ai tempi della gig economy, è quella di capitalismo delle piattaforme perché evidenzia che
siamo di fronte non a una realtà economico-sociale definita dalle sue tecnologie in uso, ma a una nuova fase del capitalismo.
Cercheremo di definire uno scenario di contesto problematico attraverso l’analisi dell’infrastruttura digitale delle piattaforme fornita dal sociologo.
Il ricercatore sostiene che il lavoro entra in campo sia nelle cosiddette piattaforme che reggono la gig economy, sia nella digitalizzazione della manifattura (con lo sviluppo di sistemi di controllo e di misura della prestazione lavorativa). In questo contesto, emerge una pulsione base del capitalismo: pagare la nuda fornitura di lavoro qui e ora.
I rapporti sociali di controllo sulla prestazione lavorativa ora vengono oggettivati attraverso la digitalizzazione come rapporti tra i dispositivi e i programmi e i lavoratori.
È una nuova fase che dal sistema delle macchine punta a creare un nuovo automa autocrate che si basa sulla caratteristica di base delle nuove tecnologie: la connettività.
In questo senso, tale tendenza di base può, grazie alla tecnologia, raggiungere livelli prima impensabili.
Più specificatamente, una delle caratteristiche del capitalismo delle piattaforme è la scalabilità, ossia la possibilità di poter vendere molte volte la stessa unità di lavoro. Ciò poteva accadere anche prima in specifiche attività, ma oggi questa possibilità, grazie alla connettività e alla digitalizzazione, si estende su scala molto più ampia:
un violinista può teoricamente vendere contemporaneamente la stessa esibizione a un pubblico sempre più vasto man mano che nuovi mezzi di comunicazione sono disponibili: la registrazione di un disco, il cinema, la radio, la televisione, internet.
Le piattaforme allargano questa possibilità a lavori prima non disponibili, come è il caso di molti lavori della gig economy. L’effetto è quello di ampliare le distanze in termini di reddito tra lavoratori che possono vendere la stessa unità di lavoro su scala globale e chi no. Garibaldo fornisce un esempio a tal riguardo: un programmatore indiano viene pagato meno di un programmatore americano, ma il fatto che quest’ultimo possa accedere a una domanda globale lo proietta a un livello diverso dal lavoratore indiano escluso da tale possibilità. Una quota sempre maggiore della popolazione lavora sotto le regole della produzione capitalistica e questo vale sia per il progettista che lavora a costruire una macchina sofisticata, sia per il rider o per chiunque lavori nella gig economy.
Se si evidenziano gli aspetti di regolazione e disciplinamento del lavoro, invece che lo status, in concreto, ad esempio, possiamo vedere che l’algoritmo che regola il lavoro del rider assolve lo stesso compito degli algoritmi che regolano lavori più redditizi, ossia pagare la nuda fornitura di lavoro qui ed ora. Dunque, la pressione a tagliare il costo del lavoro vale nei lavori del terziario tradizionale ma il suo cuore pulsante è nel capitalismo delle piattaforme.
L ’effetto complessivo è quello di una frantumazione del mondo del lavoro, ma – sostiene Garibaldo – l’aspetto plurale del lavoro diventa, in questo senso, il punto di partenza su cui riflettere e agire, non una conclusione.
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