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I principi dell'architettura 1 - La lampada del sacrificio

Immagine del redattore: Maria Antonella CalàMaria Antonella Calà

Nel saggio Le sette lampade dell'Architettura, lo scrittore John Ruskin elabora i sette principi dell'architettura, le cui fondamenta si basano sull'analogia tra l’esperienza estetica e quella morale, tra l'arte e la società.


Nell'articolo che segue cercheremo di fare luce sul primo principio, una delle lampade che illuminano l'architettura e rischiarano i costruttori, i loro onori e i loro errori: la lampada del sacrificio.


Mettetevi comodi e lasciatevi folgorare dagli aforismi di Ruskin.


LA LAMPADA DEL SACRIFICIO

AFORISMA 4
Tutta l’Architettura si propone di influire sullo spirito dell’uomo, non solo di offrire un servizio per il suo corpo.

Ruskin si riferisce a quello spirito che si offre per opere preziose per il solo fatto di essere tali, non in quanto necessarie alla costruzione, ma in quanto offerta, rinuncia e sacrificio di ciò che è desiderabile per noi.


Si tratta quindi di un fatto irragionevole ed emotivo, ma da valutare positivamente, dato che è l’opposto di quel sentimento che ambisce a produrre i risultati maggiori al costo più basso.


Ad esempio, la chiesa non ha nessun bisogno di vistosa ostentazione; la sua potenza non dipende da questa; anzi la sua purezza, in qualche modo, vi si oppone. La semplicità di un santuario di campagna è più gradevole dell’imponenza di un tempio di città e si può dire che per molta gente tanta imponenza non sia si certo all’origine di una crescita della propria operante religiosità; ma per chi l’ha costruita essa lo è stata, e dovrà sempre esserlo. Non è la chiesa - sostiene Ruskin - ciò di cui abbiamo bisogno, ma il sacrificio; non l’emozione dell’ammirazione, ma l’atto dell’adorazione; non il dono, ma il donare.

Sette luci nell'edificio

Costruire è comunemente considerato il mettere insieme le parti di un edificio. Ma il costruire non diventa architettura semplicemente per la stabilità di ciò che è stato eretto; e non è l’architettura a far sorgere una chiesa o a consentirle di accogliere e contenere agevolmente il numero desiderato di persone, più di quanto essa stessa non renda confortevole una carrozza.


L'autore riconosce che né vi può essere alcuna architettura che non sia fondata sulla costruzione, né alcuna buona architettura che non sia fondata sulla buona costruzione, ma è assolutamente necessario distinguere i due concetti e comprendere che l’Architettura si interessa solo di quelle caratteristiche di un edificio che sono al di sopra e al di là del suo uso comune.


Il lavoro, in passato, si è quasi sempre identificato con la dura fatica. Che si sia trattato di fatica di bambini, di barbari, di uomini rozzi, essi hanno sempre dato il massimo. Mentre il lavoro di "oggi" - sostiene Ruskin - ha costantemente l’aria di qualcosa che facciamo con venalità, che smettiamo appena possibile in qualunque momento e luogo, qualcosa in cui ci accontentiamo dei risultati minimi, senza mai dare il massimo.


Facciamola finita subito con questo tipo di lavoro.

Un concetto strettamente legato al lavoro è la visibilità, la quale dipende non solo dalla posizione, ma anche dalla distanza; e non c’è modo più penoso e sconsiderato di sprecare fatica che nell’eccesso di ricercatezza nella esecuzione di parti distanti dall’occhio di chi guarda.


La vittoria, la ricchezza, l’autorità, la felicità: se ne sono andate con i costruttori, sebbene conseguite con amaro sacrificio. Tuttavia della loro vita e delle loro pene sulla terra, una ricompensa, una testimonianza è rimasta a noi, in quei cumuli di pietre grigie lavorate fin nell’intimo. Si sono portati nella tomba il loro potere, i loro onori, i loro errori; ma hanno lasciato a noi la loro devozione.



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